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MARCO AIMONE IL TESORO DI CANOSCIO E LE ARGENTERIE ITALICHE DI VI SECOLO.NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA In un atto di donazione scritto all’inizio del VII secolo, il vescovo Desiderio di Auxerre († 621) elencava una lunga serie di oggetti da mensa in argento, suddividendoli fra la sua cattedrale e la chiesa di S. Germano: si trattava di vassoi, piatti, ciotole, brocche e cucchiai, per ognuno dei quali veniva specificato il peso, a volta ragguardevole, e spesso il soggetto dei motivi figurati incisi1. La ricorrenza su queste stoviglie di temi mitologici, forse esibiti con orgoglio sulla tavola di un prelato discendente da una nobile famiglia gallo-romana, dimostra la forza perdurante, nel regno merovingio, della cultura tradizionale greco-romana, una vitale eredità del mondo classico che, in quel caso, si esprimeva attraverso un supporto prediletto nel mondo tardoantico e protobizantino, quello delle argenterie2. Se questo metallo prezioso era stato elevato a simbolo del lusso domestico già nella Roma tardorepubblicana e altoimperiale, a partire dal IV secolo d.C. il suo uso era stato introdotto in due nuovi settori della vita pubblica, quello dei donativi ufficiali (largitiones) e quello delle suppellettili d’altare utilizzate nella liturgia cristiana (vasa sacra), un segno ulteriore della sua affermazione nella vita sociale e culturale del tempo3. Per i secoli dal IV al VII, l’Italia ha restituito un numero non indifferente di tesori di argenterie, più o meno ricchi per varietà tipologica e per qualità degli oggetti, ascrivibili all’ambito domestico, liturgico-cristiano e, in due soli casi, ufficiale (i missoria per il consolato di Aspar, datato al 434, e del sovrano vandalo Gelimero, re dal 530 al 534): accurate edizioni critiche in particolare dei tesori dell’Esquilino a Roma (seconda metà del IV secolo), di Isola Rizza nel territorio di Verona (con oggetti di V-VI secolo) e di Galognano nella Val d’Elsa senese (primi decenni del VI secolo) hanno illustrato tre degli insiemi più significativi4. Tuttavia, per l’Italia sono mancati fino ad ora studi 1 Edizione e commento del testo in ADHÉMAR 1934. Cfr. LEADER NEWBY 2004; LEADER NEWBY 2006; BARATTE 2008. 3 Sul ruolo e sul significato dell’argento nel mondo romano, tardoantico e protobizantino cfr. specialmente PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1991, pp. 37-110; CAMERON 1992; MARTIN 1997; LEADER NEWBY 2004. 4 Sui tre tesori (conservati rispettivamente a Londra, British Museum, a Verona, Museo di Castelvecchio, e a Colle di Val d’Elsa, Museo Civico e Diocesano), cfr. rispettivamente VON HESSEN-KURZE-MASTRELLI 1977; SHELTON 1981; BOLLA 1999. Oltre ai tre insiemi ricordati, questi sono i principali tesori tardoantichi di argenterie, o contenenti oggetti d’argento, scoperti in Italia: in Piemonte, quello di Desana (Vc); in Lombardia, quelli di S. Nazzaro a Milano, di S. Michele Maggiore a Pavia, e di Crema (perduto); in Veneto, quelli di Arten (Bl) e di Castelvint (Bl); in Friuli, quello di S. Eufemina di Grado; in Emilia-Romagna, quelli di Reggio 2 8 MARCO AIMONE generali, già condotti per altre regioni dell’antico Impero romano, che offrano un quadro interpretativo di questi peculiari materiali archeologici, in merito alle tipologie, alle datazioni, alle iconografie, ai centri di produzione, alla diffusione geografica e cronologica dei ritrovamenti; il riesame di uno dei più importanti complessi di argenterie riferibili ai secoli VI-VII, quello di Canoscio (Pg), ha offerto l’occasione per una più ampia riflessione sugli argenti rinvenuti nella penisola e riferibili al medesimo orizzonte cronologico5. La denominazione ‘tesoro di Canoscio’ designa un gruppo di argenterie scoperto casualmente il 12 luglio del 1935 nell’omonima frazione di Città di Castello, in Umbria6: lo scopritore, il mezzadro Giovanni Tofanelli, avendo informato altri del ritrovamento, rese possibile il sequestro della maggior parte dei manufatti, dopo soli quattro giorni, da parte dei Carabinieri Reali. Ne seguì una complessa vicenda giudiziaria, finalizzata a determinare a chi spettasse la proprietà, conclusasi nel 1940 con l’assegnazione allo Stato italiano: nel 1949 le argenterie furono definitivamente affidate in custodia alla diocesi di Città di Castello, per essere esposte nel locale Museo del Duomo, loro attuale sede (sala 1). Come attesta la documentazione d’archivio ancora inedita, il racconto fornito dallo scopritore fu attentamente verificato dalle forze dell’ordine che, ispezionando la buca nel campo, recuperarono vari frammenti d’argento, probabilmente appartenenti al grande piatto che copriva gli oggetti, gravemente danneggiato al momento della scoperta (fig. 1c); ma, nonostante la cura posta nelle indagini, almeno tre manufatti sfuggirono ai Carabinieri: un cucchiaio, rimasto presso il santuario di Canoscio e riunito alle altre argenterie solamente nel 1984; un secondo cucchiaio e un piatto iscritto con i nomi Aelianus et Felicitas (perfetto gemello di uno conservato a Città di Castello), acquistati sul mercato antiquario e dal 1992 conservati presso il Bode Museum di Berlino. Il tesoro, dal peso complessivo di circa 16 kg (poco meno di 50 libbre romane), comprende 27 manufatti, quasi tutti integri, di cui 25 a Città di Castello e 2 a Berlino, oltre alla base di un piccolo piatto frammentario e a 34 minuscoli frammenti di pareti e orli, conservati a Città di Castello e assegnabili in massima parte al grande piatto danneggiato. Spiccano, prima di tutto, due grandi piatti circolari (62 e 43,5 cm di diametro), ornati al centro da un tondo con iconografie simili (figg. 1a-b): una croce gemmata fra agnelli, la manus Dei e una colomba in alto, i quattro fiumi del Paradiso Emilia, di Classe (Ra), di Cesena (Fc), e di Rimini; nel Lazio, quello del Celio, da Roma, e quello di Porto, da Ostia; in Sicilia, quello di Canicattini Bagni (Sr). 5 Dall’ottobre del 2010, ho avviato un progetto di ricerca finalizzato a uno studio complessivo sul tesoro di Canoscio, in accordo con la Direzione del Museo del Duomo di Città di Castello, in vista di una sua nuova edizione: grazie alla disponibilità della dott.ssa Catia Cecchetti, conservatrice del Museo umbro, e della dott.ssa Gabriele Mietke, conservatrice del Bode Museum di Berlino, ho potuto esaminare tutti gli oggetti, fotografarli e rilevarli, disegnandone viste e sezioni; ho schedato in modo sistematico i confronti tipologici noti, ho rilevato e studiato le iscrizioni, incise o graffite sugli oggetti (alcune inedite), ho analizzato le iconografie figurate e simboliche cercando modelli, confronti e possibili significati in rapporto al contesto in cui erano state elaborate. Fra gli studiosi che hanno collaborato a questa indagine, il prof. François Baratte dell’Università Sorbona-Paris IV e la prof.ssa Erica Cruikshank Dodd della University of Victoria hanno generosamente messo a mia disposizione la loro vastissima esperienza nel settore dei tesori tardoromani e protobizantini. Anticipo qui, in forma preliminare, alcuni risultati a cui sono giunto. 6 Bibliografia essenziale sul tesoro: GIOVAGNOLI 1935; GIOVAGNOLI 1940; VOLBACH 1965; ENGEMANN 1972, pp. 157-161; HAUSER 1992, pp. 16-17, 25-26, 44-45; ROSINI 2011; AIMONE 2012 (con riferimenti bibliografici completi). IL TESORO DI CANOSCIO Fig. 1. Città di Castello, Museo del Duomo: tesoro di Canoscio, i tre piatti maggiori. 9 10 MARCO AIMONE Fig. 2. Tesoro di Canoscio, due piatti e il catino. sotto la croce. Altri tre piatti, di dimensioni decrescenti (44, 34 e 25 cm), sono ornati al centro da corone d’alloro, due delle quali contengono una croce latina, mentre quello maggiore (frammentario) reca un’iscrizione di offerta al martire S. Agapito (figg. 1c, 2); a questi piatti si aggiungono un catino (29 cm), anch’esso ornato da una croce entro corona d’alloro, e due piatti di dimensioni molto inferiori (16 cm), ma con bordo rialzato riccamente sagomato, che recano incisi e niellati i nomi di due probabili sposi, Aelianus et Felicitas (fig. 3). Un secondo gruppo di oggetti comprende quattro coppe, tre dal profilo svasato e una di forma globulare con le superfici esterne solcate da costolature radiali: le tre più grandi erano chiuse da coperchi con manico, di cui solo due conservati (fig. 4). Un terzo gruppo è composto da un set di 10 cucchiai del tipo a cochlear, con piattello ellittico e manico sottile, suddiviso in quattro sottotipi caratterizzati da differenze formali secondarie (tipi Desana 1, Desana 2, Lampsakos C e Antiochia di Stefan Hauser)7 (fig. 5): quello più riccamente decorato, del tipo Antiochia, è ornato sul piattello da un pesce reso con vivace gusto naturalistico. A questi si aggiungono un cucchiaio con profondo scodellino semisferico, del tipo a ligula con manico tornito e balaustrino terminale, un primo colino con piattello ellittico e manico ad anello terminante a collo di gru, e un secondo colino con profondo piattello semisferico, fori che compongono un disegno floreale e manico lavorato a tortiglione (fig. 6). La sovrabbondanza di motivi cristiani presenti sugli oggetti, nonché il materiale prezioso, convinsero il loro primo editore, mons. Enrico Giovagnoli, che si trattasse di suppellettili per la liturgia eucaristica: con l’ausilio di fonti scritte tardoantiche e 7 Cfr. HAUSER 1992, pp. 24-29, 31-34, 43-45. IL TESORO DI CANOSCIO 11 medievali, egli propose per ciascun pezzo un nome latino e un uso nella celebrazione della messa, mentre, sulla scorta di una lettura a volte forzata delle iscrizioni, ipotizzò per questi oggetti un’origine africana e un legame con culti martiriali di quei territori. Questa chiave di lettura ha condizionato, praticamente senza eccezioni, l’interpretazione dei tesori scoperti successivamente in Italia, quelli di Canicattini Bagni (1938) (fig. 7), di S. Michele Maggiore di Pavia (1962) (fig. 8) e di Classe (2005), considerati dai rispettivi editori tesori liturgici o comunque appartenuti a chiese, quasi che, nell’Italia di VI e VII secolo, le argenterie domestiche fossero state del tutto assenti8. Dopo tre decenni di disinteresse per il tesoro di Canoscio, Fig. 3. Tesoro di Canoscio, piccolo piatto. nel 1964 e nel 1972 gli studiosi Fritz Volbach e Joseph Engemann sostennero per primi, con validi argomenti, che non necessariamente la presenza dei simboli cristiani doveva caratterizzare come suppellettili da altare questi argenti, essendo croci, pesci, agnelli e cristogrammi ampiamente presenti anche sugli oggetti di uso domestico e quotidiano (basti pensare alla ceramica fine da mensa), quale segno visibile della fede dei loro possessori9: tali considerazioni valgono ampiamente anche nei casi degli altri tre tesori appena ricordati, il cui carattere domestico sembra incontestabile, vista la tipologia dei loro oggetti. In realtà, dal tesoro umbro sono assenti prima di tutto i calici e le patene, presenti invece nei tesori effettivamente liturgici, come quello di Galognano, l’unico di questo genere finora scoperto in Italia10 (fig. 9): al contrario, i tre grandi piatti (figg. 1a-c) hanno il profilo caratteristico dei missoria da mensa, attestati da numerosi esemplari nei tesori di Kaiseraugst, Cesena, Mildenhall e Sevso (metàfine del IV secolo); a Canoscio, come nei tesori ricordati, sono presenti entrambe le tipologie note di missorium, con fondo concavo (lances) e con fondo piano (missoria plana), che servivano per imbandire sulle mense tipi diversi di carne e di pesce, come si ricava dalla lettura del De re coquinaria11. A loro volta, le quattro coppe, i cui profili sono inadatti a essere accostati alle labbra, dovevano avere una funzione non 8 Tesoro di Canicattini Bagni (Siracusa, Collezione privata): AGNELLO 1954. Tesoro di Pavia (Musei Civici del Castello Visconteo): PERONI 1972. Tesoro di Classe (Bologna, Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna): MAIOLI 2009. 9 VOLBACH 1965, pp. 305 e 311; ENGEMANN 1972, pp. 157-158. Cfr. anche BARATTE-METZGER 1991. 10 Sulla composizione dei tesori ecclesiastici di IV-VII secolo cfr. MUNDELL MANGO 1986; MUNDELL MANGO 1990; LEADER NEWBy 2004, pp. 80-97. 11 Confronto fra gli oggetti superstiti e le fonti scritte in MUNDELL MANGO 2007, pp. 127-133. 12 MARCO AIMONE potoria, ma sussidiaria, probabilmente quella di contenere condimenti e salse (tenuti in caldo sotto i coperchi) che, di norma, accompagnavano le portate principali, con un impiego simile a quello degli acetabula di età altoimperiale: benché più antico (III secolo d.C.), il noto mosaico della ‘Buffet Supper House’ di Antiochia raffigura una successione di lances e missoria plana, fra acetabula e paterae, che mostra un modo di imbandire il banchetto tardoromano recentemente illustrato nel dettaglio da Nicolas Hudson, e ancora presupposto in voga dagli oggetti di Canoscio12. Mentre i differenti cochlearia servivano da posate individuali per i convitati, forse sottolineando, attraverso differenze formali e di peso, la complessa gerarchia del simposio che regolava precedenze e posti d’onore, i due colatoria e il catino dovevano essere impiegati dagli inservienti che, passando fra i convitati, filtravano il vino nei bicchieri e permettevano agli ospiti di detergersi le mani fra una portata e l’altra13. A proposito dei simboli cristiani sugli oggetti di Canoscio, è opportuno rilevare l’eccezionalità delle complesse iconografie incise sui due piatti maggiori (figg. 1a-b, 10c), a fronte della rarità dei soggetti cristiani su argenti tardoromani e protobizantini14. Come ha evidenziato Galit Noga-Banai analizzando il reliquiario ellittico di Grado (fig. 10b), sul cui coperchio è presente un’iconografia di adoratio crucis estremamente simile, è possibile riconoscere in questa rappresentazione un messaggio allo stesso tempo trinitario ed escatologico: trinitario per la contemporanea raffigurazione in forma simbolica del Padre (la manus Dei), del Figlio (la croce gemmata) e dello Spirito Santo (la colomba); escatologico per la presenza delle lettere apocalittiche pendenti dalla croce, verso cui i due agnelli si protendono quasi con gesto di adorante attesa, delle gemme (richiamo alla Gerusalemme celeste) e dei quattro fiumi, evocativi di un ambiente paradisiaco, secondo il racconto della Genesi15. A mio avviso, la cronologia proposta dalla Noga-Banai per il reliquiario di Grado e per il piatto più grande di Canoscio (fig. 1a), l’inizio del VI secolo, deve essere abbassata di circa cinquant’anni, e avvicinata a quella del secondo piatto di Canoscio (fig. 1b), che la peculiare forma ‘a coda di rondine’ dei bracci della croce, della colomba e del cielo stellato, da cui si protende la manus Dei, porta a datare verso la fine del secolo, grazie al confronto con l’iconografia della ‘capsella Vaticana’, di origine orientale (primi decenni del VII secolo)16. Il significato delle raffigurazioni di Canoscio e Grado va ricercato nel clima di polemica che la Chiesa niceno-ortodossa italica alimentò, prima in forma velata, poi con un’aperta opposizione, contro l’arianesimo professato dagli Ostrogoti, al tempo del regno amalo e poi durante la ventennale guerra goto-bizantina: tracce iconogra- 12 Descrizione e commento del mosaico in DUNBABIN 2003, pp. 159-161. Quadro generale delle stoviglie da mensa di età imperiale in MARTIN-KILCHER 1984. Per la ricostruzione delle forme del banchetto tardoromano, cfr. HUDSON 2010. 13 Sulle funzioni e sul possibile significato dei cochlearia come indicatori di rango nei banchetti tardoantichi, cfr. AIMONE 2010, p. 310. Invece, sulla funzione dei due differenti tipi di colatoria, cfr. MARTIN 1984, pp. 98-121. 14 I soli piatti di VI-VII secolo con soggetti cristiani provengono dal cosiddetto ‘secondo tesoro di Cipro’: si tratta della celebre serie con il ciclo del giovane Davide; ad essi si aggiungono una coppa recante un ritratto di santo (forse S. Sergio) proveniente dal ‘primo tesoro di Cipro’ e un perduto piatto dalla regione di Kama (Urali) raffigurante anch’esso Davide. Cfr. in proposito, TOYNBEE-PAINTER 1986; LEADER NEWBY 2004, pp. 61-122, 173-216; Baratte 2011. 15 Così NOGA BANAI 2004, pp. 541-542; NOGA BANAI 2008, pp. 95-120. 16 Cfr. CRUIKSHANK DODD 1961, n. 47 pp. 156-157. IL TESORO DI CANOSCIO 13 Fig. 4. Tesoro di Canoscio, le quattro coppe. fiche ed epigrafiche di tale polemica sono state raccolte e illustrate da padre Antonio Ferrua17; il loro ambito di ideazione e di elaborazione va quindi collocato in Italia, forse nella stessa Ravenna, dove la fortuna di questo soggetto è ampiamente attestata su mosaici absidali (come a S. Apollinare in Classe), ma soprattutto sulla fronte dei sarcofagi scolpiti fra il 500 e il 550 (fig. 10a)18. Considerando il valore semiufficiale del banchetto nel mondo romano, fino alla tarda antichità, si potrebbe ipotizzare, per oggetti sofisticati come questi due piatti, una committenza da parte di un funzionario (civile o militare) appartenente alla nuova amministrazione dell’Italia bizantina, dove l’adesione all’ortodossia rappresentava un requisito indispensabile, un segno di ‘romanità’ ben più forte della lingua e della stessa origine etnica; ma non si può neppure escludere una committenza vescovile, essendo noto dalle fonti scritte coeve quanto le mense episcopali fossero, a volte, luogo di esibizione di pregiate argenterie, come nel caso già ricordato del vescovo Desiderio19. Diversamente, il tipo di ornamento niellato con croce entro corona vegetale tro- 17 FERRUA 1991. Cfr. gli esempi portati da NOGA BANAI 2008, pp. 99-102. Per la ricorrenza di questa iconografia sulla fronte dei sarcofagi ravennati di VI secolo cfr. in generale LAWRENCE 1945, pp. 42-46 19 Sul legame fra ‘ortodossia religiosa’ e ‘romanità’ nell’Italia di Giustiniano cfr. AMORY 1997, pp. 236276; GREATREX 2001. Esame delle fonti relative alla ricchezza delle mense vescovili, fra IV e VI secolo, in BARATTE 2008. 18 14 MARCO AIMONE Fig. 7. Siracusa, Collezione privata, tesoro di Canicattini Bagni. Fig. 5. Tesoro di Canoscio, cochlear del tipo Antiochia. va i più sicuri confronti in argenterie prodotte in grande numero nel Mediterraneo orientale, e attestate a partire dalla fine del V secolo20. I quattro pezzi di Canoscio con motivi analoghi rappresentano l’insieme più cospicuo rinvenuto finora in Occidente, mentre un altro esemplare fa parte del tesoro di S. Michele Maggiore a Pavia (fig. 8c), e un piatto singolo è stato scoperto nel 1995 nel mare antistante l’ancoraggio bizantino di Kaukana, in Sicilia; fuori dall’Italia, si possono citare i due piatti trovati a Valdonne, non lontano da Marsiglia, di cui uno sicuramente è un pezzo di provenienza orientale, mentre l’altro è un prodotto locale realizzato su imitazione del primo, o di altri pezzi importati21. In via ipotetica, anche i quattro argenti di Canoscio, così come quello di Pavia, possono essere ritenuti un prodotto di botteghe italiche imitante modelli di area bizantina: lo suggerisce, prima di tutto, la mancanza dei cinque bolli di controllo sul retro, solitamente apposti dalle autorità dell’Impero d’Oriente (e presenti sull’esemplare di Kaukana), ma anche certe particolarità iconografiche ricollegabili ad aree 20 Cfr. EFFENBERGER 1978, pp. 60-61; LEADER NEWBY 2004, p. 177. Catalogo dei pezzi noti in CRUIKSHANK DODD 1961. 21 Piatto di Kaukana (Museo Archeologico Regionale di Camarina): DI STEFANO 1998, pp. 64-65. Coppe di Valdonne (Parigi, Louvre): BROGIOLO-CHAVARRIA ARNAU (a cura di) 2007, scheda n. 3.8, pp. 190-191 (Y. Marano). IL TESORO DI CANOSCIO 15 Fig. 6. Tesoro di Canoscio, ligula e colatoria. periferiche rispetto a Bisanzio; soprattutto le vistose terminazioni a ricciolo dei bracci nelle croci di due esemplari di Canoscio non compaiono mai sugli esemplari rinvenuti nel Mediterraneo orientale, ma sono ben documentate su altre argenterie italiche di VI e VII secolo (ad esempio, la capsella circolare di Grado, con la Vergine in trono), così come su elementi scolpiti di arredo liturgico e su fronti di sarcofagi datati fra il V e il VI22. Sicuramente, quanto sopravvissuto degli oggetti preziosi antichi rappresenta una porzione infinitesima di quanto fu prodotto, ed è il risultato di una selezione quasi sempre casuale; tuttavia, alla luce delle precedenti osservazioni, è possibile supporre non solo una circolazione, ma anche una variegata produzione di argenterie in area italica, databile al periodo compreso fra la dominazione ostrogota e la fine del VI secolo23: oggetti da mensa (come quelli di Canicattini Bagni, di Pavia e di Classe, oltre che di Canoscio), suppellettili d’altare (come quelle di Galognano) e reliquiari (come quelli di Grado), in parte ispirati a manufatti importati (come il piatto di Kaukana), in parte originali per caratteri tipologici ed elementi decorativi. Quest’ultimo aspetto merita particolare attenzione: ad esempio, i cucchiai dal grande piattello emisferico (cosiddette ligulae), presenti nei tesori di Desana, di Pavia (fig. 8a) e di Canoscio (fig. 6), oppure i cochlearia classificati tipo Isola Rizza della seriazione di Hauser, carat- 22 Studio di questo dettaglio iconografico in RUSSO 1974, pp. 38-42, con elenco dei confronti. Tale produzione dovette porsi, almeno parzialmente, in continuità con quella dei secoli IV e V: a centri istituzionali di primaria importanza come Milano, Roma e Napoli sono stati attribuiti, con argomenti convincenti (anche se non definitivi) oggetti come la capsella di S. Nazzaro, le due brocche con i ritratti di Pietro e Paolo del tesoro del Celio, e la cosiddetta ‘capsella africana’ (scoperta appunto in Africa, ma, riferita dalla Noga Banai a un contesto campano): cfr. Árnason 1938; CUSCITO 1973; IACOBINI 2000, pp. 658-660; NOGA BANAI 2008, pp. 64-95. 23 16 MARCO AIMONE Fig. 7. Siracusa, Collezione privata, tesoro di Canicattini Bagni. terizzati da una testa di grifone fra manico e piattello, presenti a Desana, a Crema, a Classe e, appunto, a Isola Rizza, formano due gruppi di oggetti da mensa del tutto privi di riscontri al di fuori della penisola, e la loro produzione sembra circoscrivibile entro la prima metà del VI secolo24; lo stesso vale per quattro dei sette cochlearia del tesoro di Classe, caratterizzati da un manico zigrinato con terminazione a balaustrino e attacco sopra il disco a sezione esagonale: quest’ultimo dettaglio è un elemento finora inedito nel panorama degli esemplari noti, non trovando confronti fra le tipologie di Hauser25. Ugualmente unici, fra quelli attualmente noti, sono i due piatti in coppia con i nomi Aelianus e Felicitas, probabilmente un ricercato dono nuziale offerto a due sposi in conformità con l’uso dello scambio fra aristocratici di piccole argenterie, cui fa cenno Quinto Aurelio Simmaco in una sua lettera26. Spostando l’attenzione alle argenterie ecclesiastiche, si osserva l’originalità tipologica dei calici di Galognano, simili a quelli del Mediterraneo orientale, ma privi del caratteristico globo fra coppa e piede, mentre le iconografie dei due ricordati reliquiari di Grado (con l’adoratio crucis e la Vergine in trono) appaiono peculiari di un contesto italico, come vari studiosi hanno messo in luce27. L’alta qualità tecnica dei pezzi elencati, così come le raffinate decorazioni a niello, a doratura o a paste vitree colorate, possono essere ricollegate alla fioritura delle 24 Sui cucchiai del tipo a ligula cfr. da ultimo AIMONE 2010, pp. 199-203. Sui cochlearia del tipo Isola Rizza, cfr. HAUSER 1992, pp. 23-24 e nn. 1-6 pp. 99-100; l’esemplare scoperto nella necropoli franca di Krefeld-Gellep, in Germania (tomba ‘principesca’ 1781) è sicuramente un pezzo importato dall’Italia. 25 Ho potuto verificare di persona i caratteri degli oggetti del tesoro di Classe grazie alla disponibilità del soprintendente, dott. Filippo Maria Gambari, che qui desidero ringraziare vivamente. 26 SYMMACHUS, Epistola VII, 76. Passo riportato e commentato da CAMERON 1992, p. 180; cfr. anche LEADER NEWBY 2004, pp. 41-47. 27 Sulla tipologia dei calici eucaristici di VI secolo, cfr. DODD 1973, pp. 13-24. Sull’iconografia dei due reliquiari gradesi cfr. CUSCITO 1973, pp. 306-309, 311-313 e NOGA BANAI 2008, pp. 111-120. IL TESORO DI CANOSCIO 17 Fig. 8. Pavia, Musei Civici del Castello Visconteo, tesoro di S. Michele Maggiore. arti suntuarie incoraggiata da Teoderico, che negli oggetti preziosi vedeva un forte elemento di prestigio per il proprio regno: significativamente, le fonti ricordano un piatto argenteo dall’eccezionale peso di 60 libbre romane (ossia 19,5 kg) offerto dal sovrano al vescovo Cesario di Arles, un dono veramente degno di un imperatore (e le fonti coeve lasciano intendere le ambizioni ‘imperiali’ del re amalo), paragonabile solamente, fra gli oggetti ancora esistenti, al missorio di Teodosio I28. Oltre che dai lunghi elenchi di suppellettili donate a chiese italiche nel VI secolo (come quelli riportati nel Liber Pontificalis ecclesiae Ravennatis), di per sé eloquenti circa l’esistenza di abili argentarii al servizio di una ricca committenza, una prima conferma archeologica alla produzione di oggetti in argento in Roma, per i decenni finali del VI secolo, è venuta dallo scavo della Crypta Balbi, che ha restituito una forma in piombo per fondere coppe non troppo dissimili da quelle di Canoscio e Canicattini Bagni29. Grazie al confronto con ritrovamenti avvenuti dentro e fuori i confini dell’Italia, ormai sufficientemente numerosi, è possibile datare con relativa precisione gli oggetti di Canoscio, e quelli affini in altri tesori: le quattro coppe e i due piatti con i nomi Aelianus e Felicitas sono gli oggetti più antichi, risalenti alla fine del V secolo o ai primi decenni del VI, una cronologia ammissibile anche per le coppe di Canicattini Bagni; gli altri cinque piatti e il catino si possono datare fra la metà del VI secolo e l’inizio del VII, un arco temporale entro cui ricadono anche i cochlearia (con differenze fra loro anche di parecchi decenni), alcuni dei quali strettamente affini a quelli del tesoro di Classe; meno precisamente definibile è la cronologia della ligula e dei colini, per i quali la datazione oscilla tra la fine del V secolo e l’inizio del VII. Ulteriore luce sulla 28 Vita sancti Caesarii, 37. Il missorio di Teodosio (74 cm di diametro) pesa 15,350 kg, pari a poco meno di 50 libbre. 29 Scheda in ARENA et alii 2001, n. II.4.995 p. 419 (M. Ricci). Il piatto con caccia al cinghiale del tesoro del Celio (Roma, Musei Vaticani) è stato assegnato a una bottega situata in Roma: cfr. RICCI 2001, p. 86. 18 MARCO AIMONE storia di questi oggetti viene dall’iscrizione presente sul piatto danneggiato al momento del ritrovamento (fig. 1c), sicuramente non coeva all’oggetto e, a sua volta, parzialmente reincisa: la prima parte del testo, con la consueta formula de donis Dei et sancti martyris ..., attesta una donazione alla Chiesa, secondo una consuetudine ampiamente documentata dalle fonti, e che dovette avvenire da parte degli ultimi proprietari del tesoro, quando i pezzi erano già stati raccolti e utilizzati per più generazioni30. Rimandando ad altra sede un’esposizione dettagliata della questione, non esistono fondate ragioni per ritenere che alcuni oggetti siano stati realizzati interamente, o rilavorati, alla fine dell’Ottocento, come supposto dai membri della commissione ministeriale a cui, nel 1940, era stato affidato lo studio del tesoro, allora custodito presso l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma31: per tanto, l’insieme può essere interpretato come beni occultati intenzionalmente in vista di un loro recupero, che non avvenne. Considerando la cronologia dei materiali più recenti, l’occultamento deve essere avvenuto nel corso del VII secolo, forse in seguito a un episodio delle prolungate vicende belliche che, per più decenni, coinvolsero Bizantini e Longobardi, in lotta per il possesso dei centri fortificati lungo il percorso che collegava Roma a Ravenna attraverso gli Appennini; proprio verso il 590, l’antico municipium romano di Tifernum Tiberinum fu trasformato in un ridotto fortificato, ribattezzato nelle fonti come Castrum Felicitatis e inserito nel sistema difensivo del fianco settentrionale del cosiddetto ‘corridoio bizantino’ fra Roma e Ravenna, che nella non lontana Perugia - sede di un dux - aveva il suo centro direzionale32. Per altro, la presenza di argenterie tanto pregiate in un contesto militare di frontiera non è un caso unico in Italia: i tesori scoperti nei castra veneti di Arten e Castelvint (Bl), posti a presidio di passi alpini strategici, sono stati ricollegati alla presenza di quei limitanei milites a cui accennano le fonti relative alla difesa dell’Italia apprestata da Giustiniano dopo la fine della guerra goto-bizantina33. L’attestazione di un ampio servizio da mensa di tipo tardoantico, in un contesto di questo genere, sembra suggerire una sopravvivenza fino alla fine del VI secolo dei modi propri del simposio romano, forse da ricollegare a influenze bizantine, attraverso i funzionari e gli ufficiali giunti direttamente dall’Oriente, dove la produzione di pregiate stoviglie domestiche continuò almeno fino alla metà del VII secolo; a questo proposito, potrebbe non essere casuale che il tipo di coppa/acetabulum dal corpo globulare a costolature, senza precedenti in ambito romano, eppure tanto raffinata per forma ed esecuzione (come ha evidenziato François Baratte) sia attestato, oltre che a Canoscio (fig. 4), in Sicilia (nel tesoro di Canicattini Bagni) (fig. 7), a Cartagine (nell’omonimo tesoro) e nelle regioni mediorientali, tutti territori strategici per Bisanzio, o 30 L’iscrizione recita, nella forma attuale, de donis Dei et sancti Agapiti martyris utere felix; ma la parola utere ha sostituito il nome Maximus, evidentemente quello del donatore. Sulla corretta lettura dell’iscrizione cfr. DE CAPITANI D’ARZAGO 1941. Casi di donazioni alla Chiesa di argenterie da parte di laici sono analizzati da JANES 1998, pp. 153-163 e LEADER NEWBY 2004, pp. 61-66. 31 La questione dell’autenticità di tutti gli oggetti sarà adeguatamente discussa nell’edizione del tesoro, di prossima pubblicazione. Per il momento cfr. VOLBACH 1965, pp. 304-305, 311. 32 Sulle vicende belliche legate alla formazione del ‘corridoio bizantino’, cfr. i saggi raccolti in MENESTÒ (a cura di) 1999. La trasformazione di Tifernum Tiberinum nel Castrum Felicitatis è narrata nella Vita S. Floridi, al cap. VI; un riesame dei dati storici presenti in questa parte della Vita è stato condotto da SENSI 1997, pp. 65-67 e CZORTEK 2005, pp. 55-58. 33 Sui due tesori, cfr. CARINA CALVI 1979 e BROGIOLO-CHAVARRIA ARNAU (a cura di) 2007, scheda n. 3.8, pp. 190-191 (Y. Marano). Per l’interpretazione dei due ritrovamenti, cfr. anche ZANINI 1998, pp. 226-227, nota 47. IL TESORO DI CANOSCIO 19 Fig. 9. Colle di Val d’Elsa, Museo Civico e Diocesano, tesoro di Galognano. comunque in contatto diretto con la capitale imperiale34. Sembra quindi possibile riconoscere, nell’Italia di VI secolo, una continuità nelle forme e nelle tipologie degli argenti domestici ed ecclesiastici rispetto ai manufatti di IV e V, ma anche l’introduzione di caratteri originali, in parte ispirati ai coevi prodotti delle botteghe del Mediterraneo orientale, che, come la ceramica fine da mensa, raggiungevano ancora in grandi quantità i porti della penisola, oltre che dell’Africa e della Gallia meridionale; a dispetto dei catastrofici eventi bellici che devastarono il territorio italiano nel VI secolo (la guerra goto-bizantina; le invasioni dei Franchi prima, e dei Longobardi poi), l’esame delle argenterie restituisce un quadro delle produzioni e dei commerci nella penisola non così negativo come suggerito dalle fonti scritte, soprattutto per i decenni centrali e finali35. Gli stimolanti studi di Ruth Leader Newby hanno messo in luce più volte il potenziale degli argenti tardoromani e protobizantini quale fonte per indagare vari aspetti culturali e religiosi, oltre che economici e artistici, della società in cui furono creati, utilizzati e occultati36. Fra i tesori scoperti in Italia, ciò appare vero specialmente per quello di Canoscio, che, come si è visto, presenta un rilevante interesse in diversi set- 34 Cfr. BARATTE et alii 2002, pp. 35-47. Quadro complessivo della situazione sociale ed economica nell’Italia di VI secolo in MARAZZI 1998. Per l’aspetto della produzione e dei commerci cfr. la sintesi in ZANINI 1998, pp. 291-332. 36 Cfr. LEADER NEWBY 2004; LEADER NEWBY 2006. 35 20 MARCO AIMONE Fig. 10. Immagini di adoratio crucis: a) sarcofago in S. Apollinare in Classe; b) reliquiario ellittico di S. Eufemia a Grado; c) dettaglio del piatto maggiore del tesoro di Canoscio. tori di ricerca: la tipologia di stoviglie; la geografia dei centri di produzione; le tecniche di fabbricazione; la questione della polemica religiosa nell’Italia ostrogota e bizantina; i contatti fra la penisola e altre regioni del Mediterraneo. Approfondendo in indagini future ciascuno di questi aspetti, sarà certo possibile ampliare le conoscenze riguardo le argenterie prodotte o importate nelle penisola; a questo proposito, sarà di grande interesse riconsiderare la questione del luogo di produzione di un piccolo gruppo di argenti, piuttosto omogenei, con soggetti mitologici o profani, scoperti in Italia e databili entro il VI secolo: il piatto di Arten, che raffigura il commiato fra Venere e Adone; il bacile di Isola Rizza, con un cavaliere che trafigge un nemico; il missorium di Ercole con il leone di Nemea, scoperto (sembra) in Toscana nel XVIII secolo; il piatto del tesoro del Celio a Roma, con una scena di caccia al cinghiale37. Benché tali soggetti a rilievo siano stati realizzati impiegando tecniche di lavorazione differenti, in essi il carattere classicheggiante delle figure appare invariabilmente superficiale: si osserva un’accentuazione espressionista nelle dimensioni degli occhi e delle mani, mentre i mantelli, le chiome e le pellicce rivelano nel disegno una geometrica rigidità; colpisce, inoltre, l’apparente disarticolazione degli arti, che tradisce un’incomprensione di fondo per le forme naturalistiche38. La lontananza dal vivace naturalismo che caratterizza 37 Piatto di Arten (Parigi, Bibliothèque Nationale, Cabinet des médailles): schede in Byzance 1992, n. 55, pp. 106-107 (F. Baratte) e in BROGIOLO-CHAVARRIA ARNAU (a cura di) 2007, scheda n. 3.8, pp. 190-191 (Y. Marano). Bacile di Isola Rizza (Verona, Museo di Castelvecchio): BOLLA 1999, pp. 278-281, 285-292. Missorium di Ercole (Parigi, Bibliothèque Nationale, Cabinet des médailles): scheda in Byzance 1992, n. 57, pp. 110-111. Piatto del Celio: LEGA 2003, pp. 85-88. In parte diversi appaiono, invece, i caratteri stilistici del piatto di Castelvint (Venezia, Museo Archeologico Nazionale). 38 Sulle differenti correnti stilistiche riconoscibili nella produzione degli argenti di VI secolo, cfr. KITZINGER 1958; WESSEL 1969; ZALESSKAJA 1982. IL TESORO DI CANOSCIO 21 tanti argenti coevi, prodotti a Costantinopoli e nelle regioni del Mediterraneo orientale, porta a domandarsi se non esistessero, nel Mediterraneo occidentale (e nella stessa Italia), centri di lavorazione maggiormente svincolati dalla tradizione ellenistica: la prova migliore di ciò è offerta dal piatto con Nereide della ex-Collezione Gualino di Torino, rinvenuto in Egitto, ma sicuramente lavorato a Cartagine, nell’anno 541, come indicano i bolli impressi sul retro39. Non solo il riesame di questi aspetti stilistici, ma anche la riconsiderazione dei soggetti raffigurati su tali oggetti getterà nuova luce sulla cultura nell’Italia ostrogota e bizantina, nei suoi rapporti con la tradizione del passato classico, così viva ad esempio nelle opere letterarie di Boezio, Ennodio e Cassiodoro; per il momento, tuttavia, basti dire che le prospettive aperte dal riesame degli oggetti di Canoscio offrono un contributo stimolante alla comprensione di una categoria di materiali che, in Italia, attende ancora di essere indagata in tutte le sue potenzialità di fonte archeologica. ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA ADHÉMAR J. 1934, Le trésor d’argenterie donné par Saint Didier aux églises d’Auxerre (VIIe siècle), in «Revue Archéologique», 6eme série, IV, pp. 44-54. AGNELLO G. 1954, Le argenterie di Canicattini Bagni, in Pepragmenon tou 8. Diethnous byzantinologikou Synedriou Thessalonikes, Thessalonike 12-19 aprile 1953, I, Athenai, pp. 110125. 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